Uno studio recente, svoltosi da ricercatori francesi e canadesi, pubblicato
nell'ultimo numero del British Medical Journal, conferma che l’uso di farmaci a base di
benzodiazepine, per trattare l’ansia e l’insonnia, sia associato a un aumento
del rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer, specie se utilizzate per
lunghi periodi (per più di tre mesi consecutivi).
Cosa sono le benzodiazepine?
Le benzodiazepine sono una classe di farmaci psicotropi , vale a dire, che
agiscono sul sistema nervoso centrale (cervello e midollo
spinale) modificando alcuni processi chimici naturali (fisiologici).
Porta a cambiamenti di coscienza, umore, percezione e
comportamento.
Provoca un effetto ansiolitico (contro l'ansia), miorilassante (rilassante
muscolare), ipnotico (induce il sonno), antiepilettico (contro l'epilessia) e
amnesico (causando problemi di memoria).Tra i principi attivi e i nomi commerciali
citiamo i famosi Valium e Xanax.
I farmaci a base di benzodiazepine sono i più diffusi
e prescritti nel trattamento dell’ansia e dei problemi d’insonnia. Tuttavia,
non sono esenti da diversi – e spesso pesanti – effetti collaterali. Uno su tutti, l’assuefazione (necessità di dosi maggiori per
ottenere lo stesso effetto), dipendenza (difficoltà o impossibilità di
interromperne l’assunzione), e la sospensione può causare sintomi di astinenza
(recidiva dei sintomi, più tipicamente la potenziale caduta della pressione
arteriosa, allucinazioni, psicosi, allucinazioni, convulsioni, malessere).
La Ricerca:
E l’emergenza Alzheimer è reale, con circa 36 milioni di persone che in tutto il mondo ne soffrono – e le cifre sono destinate ad aumentare drammaticamente. Gli scienziati, alla continua ricerca di una causa e di una cura, hanno preso in esame l’identificato aumento del rischio di demenza associato all’uso di benzodiazepine, dato che la natura di questa associazione, causale o meno, rimane poco chiara.
Per questo motivo un team internazionale di ricercatori francesi e canadesi hanno voluto indagare sul rapporto tra il rischio di esposizione alle benzodiazepine e la malattia di Alzheimer, focalizzandosi su una potenziale relazione dose/risposta e sul periodo di tempo di utilizzo.
Per far ciò, i ricercatori hanno utilizzato dati provenienti dal Quebec health insurance program database (RAMQ) al fine di rintracciare lo sviluppo della malattia di Alzheimer in un campione di anziani che vivono in Quebec (Canada) a cui erano stati prescritti farmaci a base di benzodiazepine.
Durante un periodo di almeno 6 anni, gli autori hanno identificato 1.796 casi di malattia di Alzheimer. Hanno poi confrontato ogni caso con 7.184 persone sane abbinate per età, sesso e durata del follow-up. I risultati hanno mostrato che l’uso in passato di benzodiazepine, per tre mesi o più, è stato associato a un aumento fino al 51% del rischio di Alzheimer. E per più tempo si assumevano questi farmaci, più aumentava l’associazione. Infine, gli ulteriori aggiustamenti per i sintomi che potrebbero indicare l’inizio di demenza, come i disturbi d’ansia, depressione o di sonno, non ha alterato significativamente i risultati.
Secondo gli autori, questo ampio studio caso-controllo, dimostra che l’uso di benzodiazepine è associato a un aumentato rischio di malattia di Alzheimer.Tuttavia, sottolineano che la natura del legame non è ancora definitiva, ma l’associazione più forte osservata con le esposizioni a lungo termine «rafforza il sospetto di una possibile associazione diretta, anche se l’uso di benzodiazepine potrebbe anche essere un marker precoce di una condizione associata a un aumento del rischio di demenza».
Lungi dal criminalizzare le benzodiazepine, i ricercatori ricordano che queste sostanze sono «strumenti indiscutibilmente preziosi per la gestione dei disturbi d’ansia e l’insonnia transitoria. Tuttavia, i trattamenti dovrebbero essere di breve durata e non superiori ai tre mesi».
Questi risultati, sono di «grande importanza per la salute pubblica, soprattutto considerando la prevalenza e la cronicità dell’uso di benzodiazepine nelle popolazioni anziane e l’elevata e crescente incidenza della demenza nei Paesi sviluppati», concludono gli autori.
Meglio dunque non eccedere nell’uso e utilizzare questi farmaci soltanto se strettamente indispensabile.
E l’emergenza Alzheimer è reale, con circa 36 milioni di persone che in tutto il mondo ne soffrono – e le cifre sono destinate ad aumentare drammaticamente. Gli scienziati, alla continua ricerca di una causa e di una cura, hanno preso in esame l’identificato aumento del rischio di demenza associato all’uso di benzodiazepine, dato che la natura di questa associazione, causale o meno, rimane poco chiara.
Per questo motivo un team internazionale di ricercatori francesi e canadesi hanno voluto indagare sul rapporto tra il rischio di esposizione alle benzodiazepine e la malattia di Alzheimer, focalizzandosi su una potenziale relazione dose/risposta e sul periodo di tempo di utilizzo.
Per far ciò, i ricercatori hanno utilizzato dati provenienti dal Quebec health insurance program database (RAMQ) al fine di rintracciare lo sviluppo della malattia di Alzheimer in un campione di anziani che vivono in Quebec (Canada) a cui erano stati prescritti farmaci a base di benzodiazepine.
Durante un periodo di almeno 6 anni, gli autori hanno identificato 1.796 casi di malattia di Alzheimer. Hanno poi confrontato ogni caso con 7.184 persone sane abbinate per età, sesso e durata del follow-up. I risultati hanno mostrato che l’uso in passato di benzodiazepine, per tre mesi o più, è stato associato a un aumento fino al 51% del rischio di Alzheimer. E per più tempo si assumevano questi farmaci, più aumentava l’associazione. Infine, gli ulteriori aggiustamenti per i sintomi che potrebbero indicare l’inizio di demenza, come i disturbi d’ansia, depressione o di sonno, non ha alterato significativamente i risultati.
Secondo gli autori, questo ampio studio caso-controllo, dimostra che l’uso di benzodiazepine è associato a un aumentato rischio di malattia di Alzheimer.Tuttavia, sottolineano che la natura del legame non è ancora definitiva, ma l’associazione più forte osservata con le esposizioni a lungo termine «rafforza il sospetto di una possibile associazione diretta, anche se l’uso di benzodiazepine potrebbe anche essere un marker precoce di una condizione associata a un aumento del rischio di demenza».
Lungi dal criminalizzare le benzodiazepine, i ricercatori ricordano che queste sostanze sono «strumenti indiscutibilmente preziosi per la gestione dei disturbi d’ansia e l’insonnia transitoria. Tuttavia, i trattamenti dovrebbero essere di breve durata e non superiori ai tre mesi».
Questi risultati, sono di «grande importanza per la salute pubblica, soprattutto considerando la prevalenza e la cronicità dell’uso di benzodiazepine nelle popolazioni anziane e l’elevata e crescente incidenza della demenza nei Paesi sviluppati», concludono gli autori.
Meglio dunque non eccedere nell’uso e utilizzare questi farmaci soltanto se strettamente indispensabile.
Lo studio Inserm
Lo studio ha preso in considerazione quasi 9.000 persone di età superiore a
66 anni, seguiti per 6-10 anni, dimostrando come l'assunzione giornaliera di
psicofarmaci per diversi mesi aumenti il rischio di sviluppare una malattia
neurodegenerativa :
una volta al giorno per 3 - 6 mesi
aumenta il rischio di malattia di Alzheimer del 30%
una volta al giorno per più di sei mesi aumenta il rischio di Alzheimer del
60-80%.
La Francia detiene il triste record di campione del mondo nel consumo di
sostanze psicotrope (nel 2012, quasi 12 milioni di transalpini ne avrebbero
fatto uso almeno una volta).
In particolare, le benzodiazepine sono spesso prescritte per trattare
stress, ansia e disturbi del sonno: tutti sintomi che possono essere curati con
metodi alternativi (fitoterapia, omeopatia, agopuntura).
Inoltre, l’approccio farmacologico "cancella" i sintomi ma non
risolve il problema, sicché questi sintomi tendono a ripresentarsi dopo
l'interruzione del trattamento. Questo porta spesso a prolungare la cura oltre
le raccomandazioni delle autorità sanitarie (non più di 12 settimane): molti
pazienti continuano ad assumerne per anni.
I pazienti, nel frattempo, devono essere consapevoli dei rischi connessi
con tali trattamenti prolungati e cercare metodi di cura alternativi.
Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani raccomanda di informarsi
attentamente, di non accettare facili diagnosi psichiatriche sia per se stessi
che per i propri figli, ma richiedere accurate analisi mediche.
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